Alla SAIG ritorna la caccia: Cinghiale in salmì alla lucchese, con polenta

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L’inizio dell’autunno, mentre qualche foglia si stacca dall’albero, i cacciatori puliscono fucili per dedicarsi alla più antica attività di ogni essere vivente: la caccia! Se nei tempi antichi, per l’uomo la caccia fosse una questioni di sopravvivenza, da qualche secolo è diventata una tradizione che appassiona tutte le classi sociali.

In Europa, la caccia viene esibita nei menù di tanti ristoranti e vengono eseguiti diverse ricette di cacciagione. Con il consueto spirito festoso, lo scorso 31 ottobre, per il secondo Corso di Cucina mensile, la SAIG ha rispettato una delle tradizione autunnale proponendo una ricetta particolare, in sintonia con l’atmosfera invernale predominante a Ginevra: Cinghiale in salmì alla lucchese, con polenta. Questa famosa ricetta viene realizzata un po’ dappertutto ma senza qualche ingrediente come la si propone a Lucca e in Toscana. Difatti, la differenza sta nell’aggiungere il vino toscano e, soprattutto, le olive amare lucchesi, che dona alla pietanza quel particolare gusto.

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Il Corso, diretto magistralmente da Menotti Bacci, presidente dell’Associazione Lucchesi nel Mondo di Ginevra, che con la maestria che tutte le partecipanti gli riconoscono, ancora un volta alla SAIG si è festeggiato il buon cibo con le innumerevoli pietanze che il nostro made in Italy ci propone con la ricchezza culinaria delle nostre 20 regioni.

Con questa pietanza del nord Italia, ma tipicamente personalizzate da tutte le regioni della Penisola, le signore si sono divertite ad immergersi tra gli ingredienti farinosi della lasagna e il sapore audace e selvaggio del cinghiale. Un altro momento che arricchisce il viaggio culinario delle SAIG, attraversando le regioni italiane alla ricerca delle loro moltitudini culturali. Un’altra serata all’insegna dell’amicizia e della buona armonia.

Questo incontro bimensile, come espresso diverse volte, volge a stringere i legami tra le culture culinarie regionali italiana e, nello stesso tempo, a promuovere i nostri prodotti per il piacere di deliziare i palati dei cultori. L’equipe di quest’anno è stata molto interessata a questi corsi di cui si è palesata l’assidua partecipazione, nonché il numero sempre costante dei partecipanti.

La SAIG coglie questa occasione per informare che, considerando il notevole successo dell’iniziativa, il numero dei partecipanti è stato aumentato. Pertanto, sono aperte le iscrizioni per qualche posto a disposizione.

Per maggiori informazioni, si prega di inviare un mail a info@saig-ginevra.ch oppure, chiamare al 022 700 97 45.

“Dall’estinzione alla resurrezione

Curiosa, infatti, la storia del cinghiale in cucina. In epoca romana non c’era praticamente differenza tra il cinghiale e il maiale. Gli animali venivano allevati allo stato brado nei boschi; ci si limitava a catturarli e a macellarli al momento giusto. Poi, nel Nord Italia, a partire dal Medioevo molti contadini iniziarono a vivere fianco a fianco con i maiali, che inizialmente venivano utilizzati per lo smaltimento degli scarti domestici come la crusca e le ghiande.

Dalle selezioni effettuate dall’uomo deriva il maiale domestico (Sus scrofa domesticus). Mentre, in Italia, le specie selvatiche andarono via via diminuendo. Nel nostro Paese esistevano tre sottospecie: il cinghiale maremmano (Sus scrofa majori), quello sardo (Sus scrofa meridionalis) e una terza razza dell’Italia settentrionale ormai estinta da secoli. All’inizio del Novecento il cinghiale era praticamente confinato alla Maremma, alla Sardegna e ad alcune aree dell’Appennino Centro-meridionale.

Tra il XVIII e il XIX secolo il cinghiale era già estinto in Trentino, in Liguria, in Friuli e in Romagna. Poi, a partire dagli anni ’50, con l’abbandono delle campagne soprattutto nelle aree pedemontane, la popolazione cominciò a crescere. Ma a determinare il ritorno dei cinghiali, negli anni ’60 e ’70, furono soprattutto le reintroduzioni a scopo venatorio.

Molti esemplari, appartenenti alla stessa specie Sub scrofa majori ma più grandi, vennero reintrodotti dall‘Ungheria; altri migrarono dalla Francia; altri ancora vennero più o meno spontaneamente incrociati con il maiale domestico. Fino all’attuale boom della popolazione “cinghialesca”.”

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