Ancora una volta, mi ritrovo deluso e amareggiato, ad assistere come spettatore all’ulteriore ed incomprensibile scelta dell’Italia nei confronti degli italiani all’estero.
Ancora una volta, devo constatare che, nelle aule parlamentari italiane, la questione “italiani all’estero” non sia musica per le orecchie di tanti. I nostri parlamentari eletti all’estero, deboli della loro fievole vocina, non riescono a farsi sentire o sono completamente ignorati dai propri colleghi. Alcuni di loro, fanno finta di lamentarsi per i torti che subiscono gli italiani all’estero, ma passano subito ad altro, con tanto di comunicato stampa e foto sui social, per deviare l’attenzione su cose che non interessano a nessuno.
Ancora una volta si rimettono in discussione, non solo gli organi rappresentativi come il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), ma anche il ruolo elettivo dei parlamentari eletti all’estero e, di conseguenza, anche la scarsa considerazione della politica nostrana verso i 5 milioni d’italiani e i 60 milioni di oriundi che vivono fuori dei confini italiani, la cosiddetta “altra Italia”.
Per quelle esperienze che si posso trarre dal recente passato, possiamo affermare che i parlamentari eletti nella circoscrizione estero, non riescono ad esprimere il loro linguaggio di rappresentare, perché divisi dalle appartenenze partitiche, da un lato e troppo pochi, dall’altro per poter fare la differenza per qualsiasi governo.
Dopo aver fatto credere che avrebbero tolto l’IMU per la prima casa ai pensionati all’estero, ci dobbiamo rendere conto che, invece, a partire dal 2020, il sogno finisce: tutti gli italiani all’estero dovranno pagare l’IMU, quando in Italia, per la prima casa non paga nessuno.
Dopo attenta ricerca dell’Avv. Alessandra Testaguzza, consulente legale della SAIG, riportiamo di seguito le amare conclusioni su questa incresciosa vicenda che punisce, ancora una volta, gli italiani all’estero:
“In questi giorni stiamo assistendo ad un acceso dibattito fra le forze politiche italiane per l’abolizione dell’esenzione del pagamento dell’IMU e della TASI per i pensionati italiani iscritti all’AIRE. La decisione, si giustifica il Governo in carica, è stata una scelta obbligata a seguito del deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia europea per infrazione, per non aver rispettato il principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
In buona sostanza, la Legge 80 del 23 maggio 2014 (di conversione al decreto legge n. 47 del 28 marzo 2014), entrata in vigore nel 2015, avendo esentato i pensionati italiani iscritti all’AIRE dal pagare l’IMU e parte della TASI sula “prima casa”, avrebbe operato una discriminazione nei confronti dei pensionati di altra nazionalità europea che, parimenti, posseggono immobili in Italia.
A parte il fatto che, in ogni caso, detta legge operava una discriminazione illegittima ed ingiustificata anche nei confronti degli italiani iscritti all’AIRE ma non pensionati che non potevano beneficiare di tale esenzione, ci si chiede come sia possibile che i nostri politici varino leggi nell’inconsapevolezza di esporre il nostro paese a procedure di infrazione che comportano l’esborso di denari in una economia già problematica e a crescita zero, come quella italiana.
Corre l’obbligo, a questo punto, di capire se chi aveva votato la Legge 80/2014 ed il nuovo Governo che l’ha annullata erano a conoscenza dell’orientamento della Commissione europea in ordine alla questione IMU.
Ebbene, già nel 2013, quindi un anno prima dell’approvazione della legge 80/2014, di esenzione dal pagamento IMU da parte dei pensionati AIRE, la Commissione europea aveva pubblicato sul Giornale ufficiale dell’Unione europea, un parere scaturito da una numerosa serie di reclami giunti alla Commissione contro l’IMU. Reclami rubricati su CHAP(2013) 1334. I reclami affermavano essere la legislazione italiana discriminatoria nei riguardi dei cittadini italiani residenti in Italia (esentati dal pagamento dell’IMU sulla prima casa) ed i cittadini italiani residenti all’estero che non potevano usufruire della medesima esenzione.
Dopo attento esame, la Commissione concludeva che non era possibile, a quello stadio, constatare una infrazione al diritto europeo, in quanto secondo giurisprudenza costante della Corte di giustizia europea, esiste una discriminazione quando situazioni oggettivamente comparabili sono trattate in maniera differente. Per quanto riguarda le misure nazionali di ottenimento di vantaggi fiscali, continua la Commissione, il diritto europeo non impedisce agli Stati membri di accordare un trattamento fiscale piu’ favorevole unicamente ai beni immobiliari utilizzati dai contribuenti a titolo di residenza principale e di escluderne tale utilizzo per le residenze secondarie o concesse in locazione, essendo tali utilizzi differenti e non possono essere considerate situazioni comparabili.
Di conseguenza, conclude la Commissione, i cittadini italiani che risiedono a titolo principale all’estero e che possiedono un bene immobile in Italia non sono in una situazione comparabile a quella dei cittadini italiani che vivono a titolo principale nella proprietà che possiedono in Italia. Fin qui nulla quaestio.
Ma attenzione. La Commissione ci dice anche che, al contrario, estendere il regime di “prima casa” a dei contribuenti non residenti che abbiano la nazionalità italiana e iscritti all’AIRE, potrebbe essere considerato una discriminazione nei confronti dei contribuenti non residenti che hanno una nazionalità diversa da quella italiana e possiedono un immobile in Italia.
Questo la Commissione europea lo pubblicava il 24 agosto 2013.”
Ora da cittadini ci si chiede come sia possibile che soltanto qualche mese dopo, il nuovo Governo appena insediatosi il 22 febbraio 2014, abbia varato nel mese di maggio la legge 80/2014 al cui articolo 9) esenta la categoria dei pensionati AIRE dal pagamento dell’IMU sulla prima casa, in totale spregio ad un parere già noto recante l’orientamento europeo sul punto.
Non si comprende, dunque, come oggi, il Governo in carica, si dica costretto, obbligato, a cancellare tale privilegio dal momento che l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea per un’infrazione che era ampiamente già annunciata.
Sospettiamo, invece, che i nostri politici fossero ben a conoscenza di giocare con il fuoco (e non sarebbe possibile pensare altrimenti) quando, per pura propaganda politica, hanno prima approvato una legge, chiaramente non in linea con il diritto europeo e poi, cinque anni più tardi, cancellarla perché “l’Europa ce lo ha imposto”.
Per avere una più ampia visione sulla questione, abbiamo inviato dei quesiti ad alcuni parlamentari, quali gli onorevoli Simone Billi, Massimo Ungaro, Angela Schiro’ e la Senatrice Laura Garavini, che ci rappresentano all’estero, in modo da comprendere meglio se e come si possa ovviare a questa incresciosa situazione.
Purtroppo, per impegni istituzionali, non tutti hanno potuto rispondere alle nostre domande che ci proponiamo di pubblicare nel numero di marzo de “La Notizia di Ginevra” e nella rete informativa della SAIG.
In conclusione, penso che gli italiani nel mondo siano oramai abbandonati a se stessi. Trattati come cittadini di serie C. Utili soltanto a far cassa quando vi è la necessità, senza nulla dare in cambio. La considerazione per essi diminuisce sempre di più. Mi chiedo spesso cosa succederebbe se andassimo in ferie altrove che in Italia, se comprassimo auto tedesche e pasta francese, se non avessimo e mostrassimo questo forte amore e attaccamento per la nostra Patria. Se cessassimo di promuovere e promozionare all’estero il nostro savoir faire ed i nostri magnifici prodotti, l’Italia cosa farebbe? Il nostro grido di abbandono e di amarezza potrebbe, allora, essere paragonato alle molteplici umiliazioni che i vari governanti del nostro Bel Paese ci infliggono sfacciatamente?
Pertanto, se non si va verso una rappresentanza degli italiani all’estero che sia accolta ed ascoltata è inutile proseguire in questa direzione che offende e disgusta l’elettorato degli expat, sempre meno considerati. Tutto questo non fa che alimentare il populismo già piuttosto evidente in molte delle sedi europee.