Dopo la Calabria e la Puglia, il Corso di Cucina della Regione Sicilia chiude il ciclo dedicato al Sud della nostra bella Italia. Per la Sicilia, non poteva che realizzare il Corso, una delle giovane cuoche più promettente dell’Isola nel Cantone di Ginevra: Daniela Fantauzzo.
La cuoca della serata, ha deciso di realizzare dei piatti tipici indiscussi della tradizione siciliana quali la “Pasta con le Sarde e finocchietto selvatico”, Arancino/a e come dolce, Cassata siciliana alla ricotta al forno. A quest’ultima, si è aggiunta la Pastiera napoletana realizzata da Augusta Camarca, assidua frequentatrice del Corso.
Çiuri, çiuri, çiuri di tuttu l’annu, Mi votu e mi rivotu, Vitti na crozza.
Come si fa a parlare di un piatto siciliano senza che riecheggino le note e le parole di alcune più famosa canzone popolare siciliana di sempre. Le parole di Çiuri Çiuri parlano di profumi, colori e di un amore ricevuto ma anche restituito alla nostra bellissima terra. Ebbene la SAIG in questa occasione ha fatto proprio questo, ci ha regalato colori e sapori lontani nel tempo, l’amore per le nostre origini e l’impegno giornaliero nel dare indietro questo amore a tutti i nostri cari.
Serata indimenticabile al corso di cucina della SAIG. Lo scorso 26 aprile è stata la serata della pasta con le sarde (pasta chî sardi in siciliano) è un piatto tipico della cucina siciliana, inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mpaaf) In origine è un piatto stagionale: si può preparare da marzo a settembre periodo in cui si trovano al mercato le sarde fresche ed è possibile raccogliere nei campi il finocchio selvatico.
Esistono molte varianti. Una tra le più importanti è la pasta con le sarde alla trappitara, ricetta gelosamente custodita da famiglie marinare di Trappeto (PA).
Origini del piatto
Secondo la tradizione la pasta con le sarde fu inventata da un cuoco arabo del generale Eufemio da Messina, durante la campagna militare degli arabi nella zona di Siracusa (secondo un’altra versione, poco presente nelle fonti, il fatto sarebbe accaduto a Mazara del Vallo). Il cuoco doveva sfamare le numerose truppe, trovandosi però in condizioni disagiate dovette fare appello alla sua inventiva ed elaborare un piatto con quel che la natura di quel luogo gli offriva; fu così che unì il pesce, rappresentato dalle sarde (o alici in altre versioni della tradizione), e i sapori della terra: finocchietto selvatico, principalmente, e pinoli.
Il piatto di Eufemio viene odiernamente considerato come il primo “mare-monti” della storia, poiché seppe mettere insieme i prodotti naturali del mare e quelli montani. In passato i nobili siciliani li consumavano, dopo averli cacciati, farciti delle loro stesse viscere e interiora. Il piatto era gustoso ma inavvicinabile al popolo in quanto bene di lusso. I popolani palermitani ripiegarono quindi sulle materie prime che potevano permettersi ovvero le sarde. Per imitare il ripieno d’interiora si pensò di utilizzare la mollica di pane, i pinoli e poco altro. Ed ecco le origini di questa rivisitazione delle sarde.
La preparazione, come accennato in precedenza, è elaborata ma le mani d’oro di chef Cannone non si sono tirate indietro di fronte alle difficoltà ed il risultato finale è stato a dir poco superlativo.
La degustazione ci ha riportato indietro nel tempo e nello spazio immergendoci nei profumi e nei colori di una Sicilia di altri tempi. Una vera magia.
L’origine dell’arancino siciliano
“L’arancino, infatti, nasce nel periodo della dominazione saracena in Sicilia, quando durante i banchetti esisteva l’abitudine di disporre al centro della tavola un ricco vassoio di riso aromatizzato allo zafferano e condito con verdure e carne.
La prima versione dell’arancino, quindi, è quella di un semplice timballo di riso, da gustare a piene mani e privo del pomodoro che, all’epoca, doveva ancora essere importato dalle Americhe.
L’idea di dare a questa deliziosa ricetta una nota di croccantezza e la classica forma tondeggiante, deriva invece da un’esigenza pratica: pare infatti che il sovrano Federico II amasse a tal punto questo piatto, da volerselo portare dietro durante le battute di caccia. E’ a questo punto che nacque la fragrante panatura dell’arancino, ideale per rendere trasportabile quel delizioso timballo di riso!” “Dal web”